Le recenti inondazioni che hanno devastato l’Emilia-Romagna sono il prodotto di una serie di fattori sia naturali che umani, e perciò non possono essere esaminate in maniera superficiale.
Nonostante ciò, i media e i social network sono inondati di opinioni affrettate e poco approfondite, che spesso distorcono la percezione delle vere cause. Mentre attendiamo un’analisi più dettagliata, possiamo identificare alcuni elementi chiave che hanno contribuito a queste inondazioni.
Le precipitazioni registrate sono state straordinariamente intense, con valori che hanno raggiunto i record storici per l’area nell’ultimo secolo. In meno di tre settimane, le precipitazioni accumulate hanno superato la metà della media annuale, con picchi di oltre 250 mm in due giorni e un totale di oltre 600 mm nelle prime venti giornate di maggio. Questi dati eccezionali hanno avuto un impatto devastante su un territorio già vulnerabile.
La pianura romagnola, infatti, è caratterizzata da un’elevata suscettibilità ai rischi idraulici, come evidenziato dalla cartografia prodotta dall’ISPRA. Nel corso dei secoli, una fitta rete di canali di bonifica ha trasformato aree paludose in terreni coltivabili e abitabili.
Ma durante eventi di piena straordinari, la rottura o il superamento degli argini dei fiumi, spesso sopraelevati rispetto alla pianura circostante, può provocare inondazioni improvvise e devastanti. Fenomeni simili si sono verificati anche negli anni precedenti, sebbene con minore intensità e impatto.
Un altro fattore che aggrava i danni causati dalle inondazioni è l’intensa urbanizzazione della zona. Tuttavia, è importante sottolineare che piogge di tale intensità avrebbero probabilmente generato danni significativi anche in aree meno densamente popolate.
La gestione del territorio montano, inclusa la manutenzione dei boschi e delle aree agricole, è fondamentale per molteplici ragioni, ma da sola non può prevenire eventi idrogeologici di tale portata. Le recenti inondazioni non possono essere imputate esclusivamente all’abbandono delle aree montane appenniniche.
azioni comunemente proposte come soluzioni, quali la rimozione della vegetazione lungo i fiumi o l’asportazione di sedimenti dall’alveo, rischiano di causare più danni che benefici. Questi interventi possono destabilizzare le sponde dei corsi d’acqua e alterare il loro regime idrodinamico, scatenando processi erosivi a monte, con conseguenze potenzialmente catastrofiche.