Il ruolo fondamentale delle proteine microscopiche nel cambiamento climatico: attori invisibili che plasmano il nostro futuro
Quando si parla di cambiamento climatico, la nostra attenzione è spesso catturata da fenomeni macroscopici come il ritiro dei ghiacciai o la furia degli uragani. Tuttavia, esiste un universo microscopico che svolge un ruolo altrettanto cruciale, come evidenziato da uno studio recente condotto da Amy Gladfelter, Ph.D., biologa cellulare presso la Duke University School of Medicine.
La ricerca di Gladfelter, pubblicata il 31 luglio sulla rivista Current Biology, ha portato alla luce una proteina camaleontica in grado di tollerare variazioni e mantenere la sua funzionalità, forse addirittura migliorandola in nuove condizioni. Questa capacità di adattamento potrebbe consentire a certi organismi, come funghi e piante, di resistere al cambiamento climatico, come nel caso di colture di soia resistenti al calore.
Il rischio, però, è che i funghi possano adattarsi a temperature più alte, diventando patogeni pericolosi come quelli rappresentati nella serie “The Last of Us”. Gladfelter ha evidenziato come, nonostante l’attenzione sia spesso rivolta a creature più grandi e affascinanti che affrontano lo stress climatico, il mondo invisibile, fondamentale per la vita, viene spesso trascurato.
Il laboratorio di Gladfelter ha studiato a fondo Ashbya gossypii, un piccolo fungo, apprendendo molto sulla sua crescita e sviluppo. In collaborazione con il coautore dello studio, Fred Dietrich, Ph.D., professore associato nel Dipartimento di Genetica Molecolare e Microbiologia, che ha sequenziato il genoma di Ashbya e raccolto vari ceppi da diversi climi, il team della Duke ha indagato come questo fungo si adatta ai cambiamenti di temperatura.
Nello studio, è stato scoperto che una proteina disordinata chiamata Whi3, che svolge un ruolo chiave nella crescita di Ashbya, è fondamentale per l’adattamento alla temperatura. Tradizionalmente, si pensa che le proteine debbano avere una forma specifica per funzionare correttamente. Tuttavia, Gladfelter e altri hanno scoperto che le proteine intrinsecamente disordinate (IDP) possono cambiare forma, assumendo molte configurazioni e apparendo quindi “disordinate”. Lo studio suggerisce che le IDP potrebbero essere un meccanismo comune per l’adattamento alla temperatura in vari organismi.
Queste regioni altamente flessibili possono tollerare più cambiamenti nelle loro sequenze e continuare a funzionare, evolvendosi molto più rapidamente. Gladfelter sostiene che le modifiche a questi tipi di proteine potrebbero rappresentare una via rapida per gli organismi per adattarsi ai cambiamenti ambientali.
La funzionalità della proteina Whi3 dipende dalla regione di origine del fungo, che sia una zona fredda come il Wisconsin o una calda come la Florida. I funghi di diversi climi si sono adattati alle loro specifiche fasce di temperatura.
Nel corso dello studio, il team ha sperimentato lo “scambio” di sequenze proteiche Whi3 tra isolati provenienti da climi diversi. Il loro lavoro ha dimostrato che sottili cambiamenti di sequenza potrebbero essere utilizzati per modificare geneticamente piante e microbi del suolo, rendendoli più tolleranti al cambiamento climatico e permettendo loro di funzionare normalmente attraverso un’ampia gamma di temperature.
Gladfelter sta collaborando con altri laboratori alla Duke per comprendere le regole che determinano come le proteine naturali e sintetiche sono ottimizzate per temperature specifiche. Queste scoperte potrebbero essere utilizzate per migliorare la robustezza delle colture, potenzialmente aiutando l’agricoltura a resistere a condizioni meteorologiche estreme, o per capire come trattare i patogeni fungini.